Sergio Dompé: «Selezionare progetti e studi per non disperdere le risorse»

12/12/2019

Dossier - Università e imprese

La fuga dei cervelli

“Solo alzando il livello possiamo convincere i migliori scienziati a rimanere in Italia”

“Se hai un'eccellenza devi puntare su quella, così anche gli altri si metteranno a correre per stare al passo”.

Sergio Dompé, presidente e ad dell’azienda farmaceutica milanese, ne è convinto: è solo valorizzando i migliori che si crea un sistema realmente competitivo sul fronte della formazione e della ricerca. “In Italia ci sono tante eccellenze in questo campo – spiega – ma il sistema pubblico degli incentivi finora non ha saputo premiare queste eccellenze: ha preferito distribuire a pioggia le risorse dandone un po’ a tutti. Invece, dobbiamo fare l’opposto per cambiare le cose e invertire il fenomeno della fuga dei cervelli, cercando di far tornare i nostri talenti migliori e di attrarne dall’estero”.

Un programma ambizioso: da dove si comincia?

Dai giovani, dai ragazzi delle scuole, che sono la forza del Paese e dobbiamo indirizzarli da subito verso quei settori in cui ci sono sete di sapere e opportunità di lavoro. La nostra economia deve vivere di bellezza, di arte, di cultura e di scienza. Il ruolo della scienza è importantissimo nel nostro Paese, in cui si vive meglio di quanto non si racconti: abbiamo uno dei migliori servizi sanitari nazionali al mondo, tanto per fare un esempio. Ma dobbiamo contribuire a costruire quella economia della conoscenza in cui si possano inserire progetto culturali ed educativi capaci di attrarre gli studenti.

Quale dovrebbe essere il ruolo delle imprese private?

Dobbiamo aumentare l’integrazione con il mondo accademico, ad esempio sostenendo dottorati o avviando collaborazioni su progetti specifici che abbiano interesse per le singole aziende. È quello che stiamo facendo in Dompé da molti anni e che fanno anche tantissime altre aziende. Servirebbe però un’azione di sistema più integrata, in cui davvero tutte le forze migliori del Paese, le istituzioni, l’industria, le charity, le università, si mettano assieme per condividere un progetto di sistema Paese.

Facile a dirsi, eppure fino a oggi non ci siamo riusciti.

Non è del tutto vero e i risultati lo dimostrano, almeno nella farmaceutica: negli ultimi 15 anni questo settore è evoluto fino a raggiungere la leadership produttiva europea, superando i tedeschi. E anche la vicenda dell’EMA (l’Autorità europea del farmaco, ndr) ha dimostrato una grande capacità di fare sinergia tra pubblico, privato, università e entri di ricerca, anche se alla fine Milano ha perso la partita sull’assegnazione della sede per ragioni prettamente politiche.

Il polo della scienza che sta sorgendo a Milano nell’area ex Expo, denominata Mind, è un esempio di questa integrazione?

È un’operazione importante e sono sicuro che sarà un’occasione per dimostrare che noi italiani, quando facciamo sistema, siamo i migliori. L’industria farmaceutica è prima in Europa, con 31 miliardi di euro di fatturato, esporta oltre il 70% della produzione e ha aumentato gli investimenti più della media europea negli ultimi 5 anni. Oltre la metà dei nuovi assunti ha meno di 35 anni e il 90% dei nostri occupati hanno una laurea o un titolo di studio superiore.

Dalla politica che cosa si aspetta?

Lo Stato deve cambiare approccio, cercando di focalizzare le risorse sui migliori, per creare dei poli di eccellenza capaci di aggregare attorno a sé altri pezzi dell’università, dell’industria, del sistema ospedaliero e della ricerca. Dobbiamo avere il coraggio anche di lasciare indietro qualcuno quel tanto che basta per tenerlo comunque legato alla filiera, ma motivarlo a essere più competitivo.

Il Politecnico di Milano è uno dei “migliori” su cui puntare?

Il Politecnico è un po’ il treno ad alta velocità degli atenei. Mail capoluogo lombardo ha tante altre eccellenze, a cominciare dall’Humanitas, che proprio con il Politecnico ha dato vita a una laurea congiunta in medicina e ingegneria che per noi è di grande interesse. Oppure, in altri ambiti, ci sono la Statale, la Bocconi, la Bicocca… Le eccellenze accademiche e della ricerca in Italia sono tante e non solo Nord: noi, ad esempio, abbiamo importanti collaborazioni con gli atenei di Napoli, dell’Aquila e di Chieti.

Come si valorizzano le eccellenze?

Dobbiamo, come Paese, smettere i calzoncini corti da ragazzino e indossare gli abiti di un adulto. Per fare questo servono maggiore qualità nelle progettualità del sistema Paese, comprese quelle dell’industria, e il coraggio di confrontarci su temi importanti, mettere insieme le forze per vincere i bandi europei. Le capacità non ci mancano, come dimostrano i risultati raggiunti dai nostri studiosi, penso ai casi recenti di Mauro Ferrari nominato a capo dell’Erc o Walter Ricciardi al Mission Board for Cancer della Ue.

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