Ricavi e margini in crescita costante le 5 mila fabbriche del Pil italiano
Con il corpo tozzo e le piccole ali, il bombo da sempre suscita la curiosità degli studiosi, che si chiedono come diavolo faccia a volare. L'Italia del 2022 ha generato gli stessi interrogativi. In aprile il Fondo monetario internazionale aveva previsto che quest'anno il Pil italiano sarebbe stato uno dei più lenti tra i Paesi sviluppati, con un modesto più 2,3%. Strada facendo il Fondo si è corretto, riducendo le attese sugli altri e migliorando quelle sull'Italia al più 3,2%. Altro errore. L'Istat ha infatti certificato che, con la crescita acquisita finora, il Pil salirà almeno dei 3,9%. Gli Stati Uniti, per dire, si fermeranno all'1,9% (stime Goldman Sachs). Come si spiega una simile corsa? Una delle ragioni si trova nella nuova edizione del rapporto Controvento, che Nomisma redige per individuare le migliori imprese manifatturiere italiane.
Lo studio viene realizzato ormai da quattro anni, analizzando i bilanci depositati da tutte le società che svolgono attività manifatturiere. Per sfrondare balzi occasionali, Nomisma seleziona quelle che in cinque anni sono riuscite stabilmente a superare determinate soglie in tee mini di crescita dei ricavi, dei margini operativi e del valore aggiunto per dipendente. Un'ulteriore scrematura avviene in base all'ultimo bilancio depositato: nell'edizione relativa al 2021- che sarà presentata giovedì con una tavola rotonda, anche online - il fatturato dev'essere cresciuto di almeno il 18,9% rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Su oltre 73 mila imprese analizzate, hanno superato criteri così selettivi in 5.198, con risultati strabilianti. I dipendenti di questo gruppo di testa, infatti, dal 2016 al 2021 sono aumentati complessivamente del 27%, i ricavi del 74%, il margine operativo lordo del 156%. Sono queste imprese - e quelle che non sono entrate nella selezione per poco - le fabbriche del Pil, le aziende che hanno dato un contributo decisivo alla crescita del 6,7% che l'economia nazionale ha ottenuto nel 2021 e che lo stanno dando anche quest'anno, riportando l'Italia sopra i livelli pre-pandemia. «Non abbiamo ancora abbastanza compreso quanto sia diventata strutturale la crescita che la nostra manifattura sta vivendo e, di conseguenza, quanto stia incidendo sulla crescita dell'economia nazionale. Andando indietro di cinque anni, Controvento fotografa cicli d'investimento e di espansione che durano ormai da tempo e che stanno cambiando la struttura di fondo dell'industria», dice Lucio Poma, direttore scientifico di Nomisma. «Ogni anno il numero di imprese che riescono a entrare nella selezione è sostanzialmente stabile ma, al suo interno, c'è un elevato ricambio. Significa che la platea di imprese che stanno vivendo una dinamica di crescita strutturale è più ampia di quelle che di volta in volta ce la fanno. Se non riescono un anno, a volte rientrano quello successivo, e questo indica che sono in grado di superare momenti difficili, come la pandemia o come, oggi, l'inflazione e le tensioni geopolitiche». Tra le 5.198 imprese di quest'anno le debuttanti sono poco più della metà, il 50,4%. Le altre si dividono fra quelle che ce l'hanno fatta almeno due volte (1.447), definite "veterane", e quelle almeno tre su quattro (1.132), le "super-veterane". In quest'ultimo gruppo c'è un nucleo più ristretto, 380 aziende, che non hanno mai mancato nemmeno un colpo. Il numero di quelle che nelle quattro edizioni sono entrate almeno una volta è invece di 12.720. Considerando lo sguardo di lungo periodo dell'analisi, è questo il bacino dove si trovano le imprese che stanno sostenendo la crescita del Pil di quest'anno. «Ci sono settori molto importanti per la nostra industria, come la farmaceutica, i macchinari per il packaging, l'alimentare, che nel 2020 non avevano subito battute d'arresto. Per questo motivo molte imprese di questi settori nel 2021 non sono riuscite a superare gli sbarramenti, semplicemente perché partivano da una base già molto alta». Nomisma non diffonde i nomi delle aziende Controvento. Qualche spunto, tuttavia, dà l'idea di alcune tendenze generali. Tra le più grandi, in tei mini di ricavi, ci sono i bolidi della Motor Valley emiliana, Ferrari, Lamborghini e la più piccola Pagani, tutte veterane o super-veterane, così come le case farmaceutiche Chiesi e Dompé, gli scooter della Piaggio e gli elettrodomestici Smeg, í colossi del packaging Ima Group e Nuova Ompi (gruppo Stevanato), nonché la Philip Morris Manufacturing & Technologies di Bologna, dove il colosso americano ha insediato il polo produttivo per lo sviluppo delle sigarette elettroniche. Sempre tra i big per fatturato spicca anche una new entry come Marcegaglia Specialties, che fa da capofila a un nutrito comparto di aziende che lavorano in settori di base come l'acciaio e la chimica. Scendendo di qualche gradino dal punto di vista delle dimensioni, ci sono marchi-molto conosciuti nei materiali per l'edilizia ma debuttanti in Controvento come Kerakoll e le ceramiche Florim, i macchinari della Camozzi Automation e le cucine industriali Unox, entrambe entrate più volte così come il caffè Borbone, la new entry pasta Rummo, le suole Vibram (debuttante) e le scarpe da montagna La Sportiva (super-veterana). Ancora più interessante è che l'analisi prescinde dalla grandezza dei fatturati, puntando invece sulla capacità di crescere in modo continuativo. Sotto i nomi noti e la marea di industrie semi-sconosciute ma cruciali per le filiere produttive, ci sono molte piccole, specializzate in settori come oleifici, orafi e birrifici: artigiani più che imprenditori, che hanno avuto la forza di costituirsi in società di capitali e indovinato la strada per progredire a una velocità che chissà dove li porterà. La presenza di tanti piccoli arrembanti, tuttavia, non deve far perdere d'occhio un tema forte. Se si guarda l'intero campione di 73 mila imprese, tra le 5.198 Controvento le medie- tra i 50 e i 249 dipendenti - sono più numerose rispetto a quelle che non ce l'hanno fatta. Non è solo una questione di addetti: anche i ricavi sono maggiori per le imprese selezionate, rispetto alle altre. Questo dato è coerente con una lettura dei fatti che spiega perché la manifattura italiana abbia ripreso a correre, dopo il periodo di smarrimento legato alla globalizzazione e alla delocalizzazione delle produzioni: «Negli ultimi anni è cambiata la struttura delle nostre filiere. Un tempo il sistema era basato sul "divide et impera": il capo-filiera si basava su un sistema di fornitori iper-specializzati, capaci di fare benissimo e in modo flessibile soltanto una cosa. L'innovazione ha stravolto questa impostazione, perché ora i capo-filiera hanno bisogno di fornitori in grado di sviluppare in modo coordinato ma autonomo componenti sempre più complessi. L'innovazione è più distribuita e tutte le imprese che fanno parte di una filiera sono cresciute, hanno acquisito competenze e si sono strutturate», dice Poma, osservando che un tempo l'innovazione era concentrata in pochi settori ad alta tecnologia, come l'automotive o l'aerospaziale, oggi sta trasformando tutte le catene produttive, anche nei comparti più tradizionali, come l'alimentare o l'agro-industria. «In prospettiva le dimensioni saranno ancora più determinanti, «perché con la diffusione delle tecnologie digitali e con la necessità di governare i grandi flussi di dati sono necessari investimenti che solo aziende più grandi possono permettersi».