Dompé: «Le imprese stanno correndo, ora serve più Europa e meno burocrazia»
Se ne parla poco in questa campagna elettorale per le Europee. Ma le imprese sembra stiano facendo il loro dovere. Di economia e crescita però si discute pochissimo in questa fase che ci porterà al voto.
«Eppure noi stiamo correndo», dice Sergio Dompé. Presidente dell'azienda omonima, è uno degli imprenditori artefici di un sorpasso che, al solo pensare ai nomi dei colossi del farmaceutico tedesco, pareva impossibile. Ma è accaduto: il distretto dei farmaci italiano ha superato quello della Germania con una produzione di 32 miliardi di euro. Esempio di un'Italia che non solo è ancora molto competitiva, ma è anche in grado addirittura di prendere posizioni da leader nel mondo.
A questo punto è necessario che di questo ci sia più consapevolezza anche nella politica. «E che si capisca quanto l'Europa possa essere per le imprese italiane un volano di sviluppo per loro e per il Paese».
Per Dompé stiamo giocando una partita epocale per il futuro del nostro welfare e del nostro sistema produttivo. Una battaglia condizionata anche dal peso della burocrazia, «in cui le imprese italiane restano ostaggio di alcune leggi, come la normativa per il patent box, approvata da 4 anni e non ancora fruibile per i brevetti delle aziende farmaceutiche».
Condivide lo scetticismo del governo nei confronti di questa Europa?
«Quel che è certo è che l'Europa è ormai ai margini nello scacchiere mondiale. E penalizzata da un sistema di goverLa proposta Bisogna agire su scala europea, mettendo insieme i sistemi sanitari di Francia, Germania e Italia nance inadeguato, vittima di egoismi nazionali che rischiano di acuirsi dopo le elezioni europee. E troppo attenta ai vincoli imposti dai regolatori. Dovremmo avere una classe dirigente europea ed italiana che aiuti l'industria a spingere sugli investimenti incentivando la ricerca e uniformando le norme fiscali. Attraendo capitali, favorendo le aggregazioni tra aziende nella stessa filiera».
Ma siete disposti a fare la vostra parte?
«C'è un numero significativo di famiglie italiane, pensi ad Aleotti, Chiesi, Angelini, Golinelli e De Santis, solo per citarne alcune, che stanno dando una forte spinta all'internazionalizzazione e i volumi di export ne sono l'evidenza. Noi abbiamo investito 30 milioni ampliando lo stabilimento dell'Aquila portando occupazione e ricerca scientifica. Ma non basta L'imprenditore, seppur illuminato, non può essere lasciato solo».
Ma lei che cosa propone?
«Di agire su scala europea, mettendo insieme i sistemi sanitari di Francia, Germania e Italia Hanno lo stesso tipo di modello. Sono pubblici, finanziati dalla fiscalità generale. Basterebbe creare dei sistemi collegati per la gestione delle malattie. Mettendo a fattor comune i servizi perla cura alla persona. E gli investimenti sulla ricerca scientifica. Pensi alle potenzialità dei Big Data».
Creando una rete condivisa di informazioni?
«L'Europa ha uno straordinario vantaggio competitivo nei confronti del resto del mondo, che rischia di ridursi o assottigliarsi: il nostro sistema pensionistico e assistenziale. Pensi soltanto all'area lombarda. Se mettessimo insieme la produzione di farmaci con la capacità di cura di istituti ed ospedali, la risultante sarebbe un hub di grandissima capacità competitiva. Con costi piu bassi del 40-50% rispetto a quelli americani. Basterebbe far comunicare le banche dati dei sistemi sanitari nazionali. E i relativi modelli gestionali della salute. Sarebbe un progetto europeo significativo, darebbe accesso ad una quantità enorme di informazioni a costo zero. E spingerebbe la ricerca sul lato della domanda dei pazienti».
E in Italia di cosa ci sarebbe bisogno?
«Di non essere percepiti come un freno. Di non dover attendere procedimenti autorizzatori lunghissimi. Abbiamo un debito pubblico corposo, molte delle scelte sono state già fatte negli anni precedenti, non ha senso tomare indietro. Se si guarda a quanto spendiamo per le pensioni, per il nostro sistema di ammortizzatori, non comprendiamo che dovremmo anche trovare un modo per renderlo compatibile con altro. Non possiamo scaricare il debito sulle generazioni future. Ci si accontenta di dare qualcosa un po' a tutti, a pioggia, perché nessuno sia insoddisfatto in modo da mantenere il consenso, ma il Paese resta privo di una strategia adeguata e alla lunga si paga».
Sul capitale umano siamo poco competitivi? II precedente governo ha provato a far rientrare i talenti dall'estero.
«Come svuotare un lago con un secchiello. Quell'incentivo serve, ma non è sufficiente. Bisogna garantire la mobilità europea dei ricercatori. Un ricercatore guadagna un terzo in meno rispetto agli Stati Uniti».
Nel frattempo la Cina ha lanciato un piano da 100 miliardi di investimenti pubblici nel biofarmaceutico.
«La Cina sta sparigliando anche sul segmento del biotech ad altissima innovazione tecnologica. E' un sistema unico, con strategie comuni, un grande mercato interno. Rischiamo di essere stritolati, rischiamo che comprino le nostre aziende migliori».