«Abbandonare il patent box è un danno per l'innovazione italiana e il Paese»
Una «scelta miope e controproducente», che avrà effetti negativi sulla spinta all'innovazione e alla ricerca in Italia. Una decisione «incomprensibile», visti i risultati che si stavano ottenendo in questi anni. Sergio Dompé, presidente dell'omonimo gruppo farmaceutico presente in tutto il mondo, è lapidario nel bollare la scelta del governo di abbandonare il patent box come un «grande errore». II danno principale è che «si penalizza l'innovazione italiana e chi paga le tasse in Italia».
L’aspetto che qualificava il patent box era valorizzare la ricerca in Italia e dare benefici a chi paga qui le tasse.
Una «scelta miope e controproducente», che avrà effetti negativi sulla spinta all’innovazione e alla ricerca in Italia. «Incomprensibile», visti i risultati che si stavano ottenendo in questi anni. Sergio Dompé è lapidario nel bollare la scelta del governo di abbandonare il patent box come un «grande terrore» commento che arriva da un protagonista della ricerca italiana, presidente in tutto il mondo e che ha in programma oltre 300 milioni di investimenti nei prossimi tre anni, di cui 230 in Italia.
Il danno principale è che «si penalizza l’innovazione italiana e chi paga le tasse in Italia, a danno di tutto il sistema paese». Una mancanza di visione che, secondo Dompé, sarà profondamente controproducente e che è l’effetto della modifica prevista dal decreto fiscale: si abbandona il patent box, cioè la detassazione sul reddito che deriva dall’uso di beni immateriali, per passare ad una deduzione dei costi. «Scelta che tra l’altro appare un doppione del credito di imposta già previsto per la ricerca».
Per la ricerca e l’innovazione italiana quindi un danno?
Si, proprio così. Un danno, per di più incomprensibile, per le imprese e per il paese. L’aspetto che qualificava il patent box era proprio di valorizzare la ricerca italiana e dare benefici fiscali a chi paga le tasse in Italia. In questo modo, con la detassazione dei costi, anche aziende con base estera possono usufruirne. Invece vanno favorite e spinte a fare ricerca quelle piccole e medie imprese italiane che stavano proprio recuperando terreno come dimostrano i numeri. Nel nostro settore solo una multinazionale ha usufruito del patent box, quindi è un aumento tutto italiano. E stavamo recuperando: l’EFPIA, la Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche, ha indicato un aumento del 29% dei brevetti italiani nel 2019-2020 rispetto alla media Ue del +10%. Un trend positivo, dopo un avvio che ha scontato il rodaggio del meccanismo: nel settore delle life science siamo partiti di fatto nel 2017.
Da detassazione sul reddito generato dall’uso di beni immateriali a deduzione dei costi: si passa da una misura che premia il merito all’ennesimo intervento a pioggia?
Il patent box era nato nel 2015 con l’obiettivo di stimolare la registrazione di brevetti italiani, mantenere i brevetti e il loro sfruttamento in Italia, incentivare la ricerca e l’innovazione nel nostro paese. Si era creato un meccanismo trasparente e verificabile da parte dell’Agenzia delle entrate. Questo nuovo provvedimento non incentiva specificamente l’innovazione e in questo senso è poco trasparente. Non si premia il risultato e la qualità della proprietà intellettuale. E poi, ripeto, si penalizza una strategia paese. Da presidente di Farmindustria ho varato una riforma dello statuto in base alla quale i voti in assemblea venivano misurati su una serie di criteri: il 25% del fatturato in Italia, il 25% delle spese in ricerca, il 25% di export e il 25% delle tasse pagate nel paese. Un aspetto, quest’ultimo, per me dirimente. È una riforma di cui vado orgoglioso e tuttora in vigore con l’attuale presidente Massico Scaccabarozzi.
Questo cambiamento di rotta può interrompere un processo virtuoso?
Certo, i risultati si stavano vedendo, stavamo recuperando terreno. I processi di ricerca sono lunghi, nel settore farmaceutico anche dieci anni. Serve la certezza delle regole e non si può cambiare dopo pochi anni. Le imprese, specie le pmi, avevano capito il meccanismo del patent box e lo stavano applicando. E bene hanno fatto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, e il vice presidente per la Ricerca e lo Sviluppo, Francesco De Santis, a denunciare con forza l’errore della scelta fatta con il decreto fiscale.
Secondo lei cosa ha motivato le nuove regole?
Credo sia un problema contingente di finanza pubblica. Ma è appunto una scelta miope, che se può portare benefici immediati alle casse dello Stato, certo nel medio-lungo periodo penalizza le imprese e il paese, dal momento che la ricerca è la base della crescita. E dovrebbe essere uno dei terreni prioritari di partnership pubblico-privato.