Farmaci, Cina e India minano il made in Italy
PRODUZIONE
Serve una crescita degli investimenti fino a 1,65 miliardi nel 2030
Sergio Dompé: il Paese deve sviluppare competenze innovative e digitali
Senza un nuovo ciclo di investimenti, un incremento dei laureati Stem un rafforzamento dell'ecosistema pubblico-privato il nostro paese rischia di perdere la leadership in ambito farmaceutico. Questo in sintesi il messaggio dello studio Pharma Manufacturing 2030 promosso da Sanofi, Dompé e Altran in collaborazione con The European House-Ambrosetti presentato oggi in Senato.
L'industria farmaceutica italiana è uno degli indiscussi traini della nostra economia e può vantare la leadership europea grazie a un valore della produzione pari a 32,2 miliardi di euro e una crescita dell'export costante (+117% in 10 anni, raggiungendo i 26 miliardi di euro nel 2018).
Questo traino però è messo a rischio da alcuni fenomeni emergenti a livello globale quali lo sviluppo di nuovi cluster industriali nell'ambito delle Life sciences (paesi del sud est asiatico, Cina e India in particolare, e l'ulteriore spinta in avanti degli Usa); l'affermazione della nuova rivoluzione tecnologica basata su digitale e genomica; il costo di sviluppo dell'innovazione terapeutica e la necessità di garantire la sostenibilità ed equità dei sistemi sanitari.
Dove e come intervenire quindi? «Il Paese deve essere in grado di sviluppare competenze innovative, digitali e interdisciplinari così da rispondere alle esigenze del mercato del lavoro- sostiene Sergio Dompé, presidente e CEO dell'omonimo Gruppo -. Inoltre, deve rafforzare l'ecosistema attraverso l'open innovation favorendo la collaborazione anche tra player di settori diversi, nell'ottica di proporre un'offerta integrata di prodotti e servizi sempre più innovativi, digitalizzati e "a misura" di paziente».
Per raggiungere la quota media attuale dell'Europa, l'Italia deve prevedere l'innalzamento progressivo della quota dei laureati nelle discipline Stem (Science, technology, engineering and mathematics) dagli attuali 14/1000 persone agli almeno 20/1000 al 2030, suggerisce lo studio. Mentre per rispondere ai trend in atto a livello globale, servono incentivi agli investimenti in ReS e in produzione soprattutto di manifattura avanzata.
«Il Paese - precisa Hubert De Ruty, presidente e ad di Sanofi Italia - deve puntare a diventare un centro di eccellenza per l'innovazione e quindi affiancare a una produzione di farmaci maturi una filiera farmaceutica dell'innovazione (per terapie biologiche, come le Car-T, ndr). Serve quindi una visione a lungo termine che, tra le altre cose, faciliti le partnership pubblico-privato, assicurandola stabilità del progetto. In altri termini, per attirare gli investimenti l'Italia deve diventare un hub industriale 4.0 e creare un ecosistema di servizi centrato sul paziente». Tutto questo passa anche attraverso l'innovazione tecnologica, fattore chiave per accrescere la competitività dell'industria farmaceutica italiana. «A tale scopo - dice Marcel Patrignani, Ceo Altran Italia - si devono creare le condizioni per la diffusione della digitalizzazione dei processi farmaceutici e dell'analisi dei big data per l'aumento dell'efficacia e dell'efficienza produttiva aziendale nonché dello sviluppo di software avanzati che integrino le terapie farmacologiche tradizionali».
Lo scenario delineato di crescita della produzione al 2030 dello studio di Ambrosetti e reso possibile dall'implementazione delle misure suggerite nel Manifesto presentato oggi, implica anche un aumento degli investimenti in produzione da parte del settore da 1,35 miliardi di euro del 2018 a 1,65 miliardi di euro nel 2030. Stimando il mantenimento della crescita del valore della produzione farmaceutica pari al tasso registrato negli ultimi io anni (+22% dal 2008 al 2018), si avrebbe al 2030 un valore della produzione pari a 41,8 miliardi di euro, che genererebbe un valore aggiunto diretto, indiretto e indotto pari a 21,4 miliardi di euro. Ciò si potrebbe tradurre anche in un aumento dell'occupazione diretta (77.700 occupati rispetto ai 66.500 de1 2018), ma anche indiretta e indotta (92.400 occupati vs. 79.000 del 2018) ipotizzando costanti gli attuali livelli di produttività.