Dompé: va potenziata la medicina territoriale. Zampa: più prevenzione
Per Bottinelli (San Raffaele) occorre incrociare i dati tra pubblico e privato
Per guardare oltre la pandemia, imparando qualcosa dall'emergenza sanitaria, occorre non solo avere alti livelli di ricerca, ma anche una migliore medicina territoriale. Per dirla con Sergio Dompé, presidente dell'omonima azienda farmaceutica, «un vero e proprio esercito organizzato, da usare nel bisogno estremo ma che poi fa altro se non serve». È quanto emerso durante il convegno "Recovery plan, Pnrr: sfide e opportunità per il sistema Italia", organizzato da Sole 24 Ore e Radio 24. A tracciare le linee guida di una possibile sanità post-pandemica, oltre a Dompé, sono state l'ad del San Raffaele di Milano Elena Bottinelli e la responsabile della Sanità per il Pd Sandra Zampa. Per tutti il Covid può indicare in che direzione riformare la sanità. Per Dompé «va rafforzato il collegamento con il territorio per capire prima le minacce. E a seguire vanno anche modificati i contratti del mondo della sanità: abbiamo bisogno per esempio di avere maggiori terapie intensive, ma poi non possiamo tenerle occupate in tempi normali al 5%, pertanto bisogna essere in grado di organizzare un esercito che le gestisce e le chiude in tempi rapidi, da impiegare poi altrove». Parla di «flessibilità, con una sorta di ospedale diffuso nel territorio», la democratica Zampa: «La prevenzione serve a ridurre i costi del sistema sanitario». Mentre Bottinelli sottolinea il bisogno di «incrociare dati tra pubblico e privato». Quindi più forza territoriale e più comunicazione fra istituti. Ma la pandemia ha insegnato qualcosa anche sui dispositivi di protezione, la filiera dei vaccini, le medicine. L'Italia ha mostrato lacune, ma «è fisiologico che in un'economia globalizzata le produzioni avvengano anche altrove», dice Dompé, che tuttavia rivendica un primato italiano: esportiamo vaccini per decine di miliardi di euro. D'ora in poi occorre guardare piuttosto acome risolvere problematiche strutturali attraverso la collaborazione internazionale. «Non basta più il singolo paese, dobbiamo puntare a una federazione europea, a una difesa comune della salute da parte di tutti i paesi dell'Unione. La prossima battaglia è la collaborazione fra Stati, l'intergrazione fra pubblico e privato e fra imprese stesse, che in casi di pandemia non sono solo concorrenti ma possono diventare alleate, come accaduto in questi mesi».